Anche la pioggia

Il dominio dell’essere umano sulla natura è originariamente causato dal dominio dell’essere umano sull’essere umano. La soluzione a lungo termine della crisi ecologica dipenderà da una trasformazione fondamentale di come organizziamo la società, una nuova politica basata sulla democrazia diretta, su assemblee di vicinato e sulla dissoluzione delle gerarchie.”

Murray Bookchin in “L’ecologia della libertà”

A partire dai primi anni ’90 la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale iniziarono una campagna di pressione per spingere le compagnie municipali dell’acqua alla privatizzazione. A Cochabamba, terza città della Bolivia, nel 1999, l’impresa municipale dell’acqua potabile SEMAPA fu venduta ad un consorzio interazionale, Aguas de Tunari, formato dalle statunitensi Betchel e Edison, dalla spagnola Abengoa e dalle Boliviane Petrovich e Doria Medina. In pochissimo tempo le bollette aumentarono fino al 300%, poco dopo fu approvata la legge 2029, che permetteva alle imprese private di imporre una tariffa per l’acqua prelevata da qualunque fonte: pozzi, sorgenti o fiumi. Da quel momento l’impresa Aguas de Tunari poteva far pagare anche la pioggia¹.

L’America Latina continuava a rappresentare il continente dalle “vene aperte” descritto da Eduardo Galeano², da cui le multinazionali europee e statunitensi potevano trarre profitto.

Ma questa volta fu lotta: era la primavera del 2000 quando gli abitanti di Cochabamba decisero di opporsi alla mercificazione dell’acqua al grido di “¡El agua es nuestra, carajo!”³. Mezzo milione di persone si organizzarono contro il modello di privatizzazione che si stava espandendo in Bolivia scatenando la cosiddetta “guerra dell’acqua”. Il governo di Hugo Banzer tentò di sopprimere i movimenti attraverso le unità di polizia e le forze armate, provocando centinaia di feriti e la morte di Victor Hugo Daza. Le rivolte continuarono, un gruppo di cittadini occupò la sede di SEMAPA, fino ad arrivare a negoziare un accordo, con il quale venne espulsa Aguas de Tunari e SEMAPA venne rimunicipalizzata.

Fu una vittoria importante anche se l’obiettivo delle rivendicazioni era più ambizioso, una gestione comunitaria dell’acqua, attraverso la costruzione di un ente autogestito dalle comunità di Cochabamba. La guerra dell’acqua ha significato infatti l’apertura di un dibattito sul concetto di acqua bene comune, sulla gestione comunitaria dei territori per un maggiore equilibrio ecosistemico e sulla autodeterminazione dei popoli, un dibattito che, ancora oggi, dopo 16 anni, è vivo, profondo e molto più avanzato di quanto non lo sia in Europa.

Per comprendere la questione idrica di Cochabamba, bisogna collocarsi in un quadro politico istituzionale che vede uno Stato e un’Amministrazione pubblica assenti o che rappresentano autorità marginali, questo ha favorito lo sviluppo di una lunga storia di autogestione idrica nelle comunità rurali indigene, che ora si è estesa alle comunità urbane di quartiere.

Cochabamba è una “città duale”, il nord è più ricco, connesso ai servizi di approvvigionamento e depurazione di SEMAPA; il sud e le aree peri-urbane, in cui sorgono i quartieri più poveri e in cui mancano i servizi più elementari (strade, acquedotti e fognature), continuano ad avere problemi di deficit idrico, e trovano soluzioni attraverso il mutuo aiuto e la collaborazione che si sviluppa nei comitati, nelle associazioni o nelle cooperative, realizzando sistemi di proprietà e gestione collettiva: dalla costruzione di serbatoi, all’acquisto di camion cisterna per la distribuzione dell’acqua, alla realizzazione di nuovi pozzi. In questa situazione complessa che vede una gestione pubblica carente interfacciarsi con un sistema informale di autogestione, non mancano gli attriti: nella regione metropolitana di Cochabamba si osservano circa duecento eventi di conflitto in atto derivanti da fattori connessi al diritto all’acqua, allo stato di crisi ecologica delle falde superficiali e sotterranee o alla scarsità idrica.

Per tutte queste ragioni, mentre in Europa il dibattito si ferma ad una contrapposizione tra pubblico e privato per una gestione sostenibile delle risorse idriche, in Bolivia si fa strada, sempre più assiduamente, la possibilità di implementare un modello partecipativo di autogestione. Alla luce delle logiche di profitto dominanti in una qualunque gestione privata, e del fallimento di una gestione pubblica che coadiuva la segregazione e l’esclusione sociale, si stanno aprendo spazi per la sperimentazione di modelli culturali diversi che restituiscano significato al concetto acqua bene comune ponendo al centro coloro i quali, senza essere necessariamente popoli indigeni, rivendicano diritti di autodeterminazione sui territori che abitano. Qui l’autogestione ha smesso di essere un’utopia rivelandosi urgente necessità sociale ed ecologica.

VS

¹ Tambien la lluvia, film documentario di Iciar Bollain, 2010

² Las venas abiertas de América Latina, di Eduardo Galeano, 1971

³ ¡El agua es nuestra, carajo!, film documentario di Ravi Khanna e Sheila Franklin, 2002

4 El agua nuestra de cada dia, di María del Carmen Ledo García, 2013 Tambien la lluvia, film documentario di Iciar Bollain, 2010

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