“L’acqua pubblica non può essere considerata un bene pubblico!” (Cristina Bargero, PD)

La storia di un referendum ignorato e tradito

Un’antitesi nel cuore della democrazia «In Italia l’indignazione dura meno dell’orgasmo: dopo ci viene sonno», notava sarcasticamente Marco Paolini. E i fatti gli danno ragione. Mai una Rivoluzione, in Italia. Nonostante non poche volte i movimenti di idee si siano originati qui. E sebbene, per secoli, dominazioni straniere abbiano schiacciato qualsiasi possibilità di autodeterminazione.

Ma questo è nulla, se paragonato al fatto che non siamo capaci nemmeno di far valere i nostri diritti più elementari, intoccabili. I nostri politici lo sanno e ne approfittano; e noi lasciamo che questo avvenga: con connivenza, silenzio, indolenza, insipienza. 2011: oltre 27 milioni di italiani, compatti, votano Sì, contro la privatizzazione dell’acqua e il pagamento dell’obolo, il nucleare, il legittimo impedimento del Presidente del Consiglio.

Poi l’oblio, nonostante i fili resistenti di alcuni Comuni (a Napoli, ad esempio, l’acqua è pubblica, e l’Abc ha chiuso il 2015 con un utile di 8 milioni, nonché tariffe tra le più basse d’Italia) e l’obbedienza civile di alcuni Comitati che, come da 2° quesito referendario, si sono decurtati quel 7% spacciato in bolletta per “remunerazione del capitale investito”: la liquidità necessaria per finanziare la costruzione di reti e impianti, e per la loro manutenzione (ma dal 2006 ad oggi i privati hanno pagato solo l’11% di tali investimenti. Il resto sono soldi pubblici, provenienti dalle tasse, dalle nostre tasse).

Una ‘bannalità’ feudale, questa del 7%, che è sul rischio di entrare nuovamente in vigore insieme alla privatizzazione del settore grazie alla coerente politica del Governo, nel 2011 ‘rottamamente’ schierato a favore del Sì, contro il versante bersaniano (ma con la Boschi nel Consiglio di Amministrazione di Publiacqua, la partecipata di Firenze che vanta le bollette più care d’Italia e 225 km di tubature in amianto); oggi, invece, impegnato a far passare due emendamenti che calpestano il risultato del 2011.

D’altronde l’impegno del Governo in tal senso è di lunga data, e purtroppo non riguarda solo la gestione e dell’acqua: con lo “Sblocca Italia” del 2014 la concentrazione dei servizi pubblici locali passa nelle mani di poche grandi multi-utility, mentre la Legge di Stabilità incentiva i Comuni a privatizzare i servizi pubblici. Il 19 aprile 2016, per concludere in bellezza, due emendamenti a firma PD sopprimono l’articolo 6 del ddl popolare 2007 (proposto dai movimenti per l’acqua pubblica e recentemente portato in Parlamento da deputati M5S, PD e Sel): proprio l’articolo in cui si ribadisce (come da Referendum) che l’affidamento del servizio idrico spetta solo a enti pubblici pienamente controllati dallo Stato, e che impone agli enti un anno per adeguarsi.

Vedremo, ora, quel che succederà al Senato. Intanto, come cittadini, rabbrividiamo di fronte alle parole della deputata Cristina Bargero, che candidamente afferma: “l’acqua pubblica che arriva nelle nostre case non può essere considerata un bene pubblico”; e definisce poi un “errore ideologico” il dibattere su chi debba gestire questo bene comune (e sul come debba farlo).

Oltre la grottesca e imbarazzante contraddizione in termini, ciò che è più grave, in tali affermazioni, è l’annichilire totalmente il parere espresso dai cittadini che l’hanno votata come loro rappresentante (il che dovrebbe farci riflettere sulla millantata democrazia in cui viviamo, nella quale Presidente del Consiglio ed ex-Presidente della Repubblica invitano al non-voto, contro la stessa Costituzione!); e addirittura il tacciare un referendum di essere un “errore ideologico”. Eppure, un tempo, l’unica forma di resistenza attiva era l’ideologia: non quella di partito (sia mai!), ma quella che preserva i valori umani e che, nella sua pulsione utopica, è riuscita a smantellare Principi d’Autorità incancrenitisi nei secoli.

E allora, forse, il popolo italiano è così come lo descrive Paolini: un popolo in cui l’indignazione dura meno di un orgasmo. E dopo un violento orgasmo, è bene dormire beati.

Rosanna

Alghero, autoproduzioni, cultura, socialità, autogestione